Operaestate Festival di Bassano del Grappa ha offerto un primo tributo alle celebrazioni rossiniane al teatro T. Gobbi. Ad ottobre infatti è in arrivo anche “Cenerentola”.
Si sa, Il barbiere di Siviglia più correttamente dovremmo chiamarlo Almaviva, ossia L'inutil precauzione. Cioè col titolo escogitato dal duo Sterbini/Rossini per scansare il periglioso paragone con l'ancora popolare Barbiere di Paisiello.
Ma col tempo, sparito dalle scene il lavoro del musicista tarantino l'unico Barbiere di Siviglia noto è quello del Pesarese, tout court. Ed eccolo dunque, per le celebrazioni, troneggiare alto fra i titoli rossiniani messi in programma ovunque per le celebrazioni rossiniane. Anche ad Operaestate Festival di Bassano.
Tema di base, l'avidità di denaro
La rassegna veneta ha fatto anche qualcosa di più, dato che ai primi di ottobre presenterà pure Cenerentola. Sempre in coproduzione con Padova, al pari di questo Barbiere andato in scena prima in quella città e subito dopo nel plen air del Castello Ezzeliniano. Allestimento poggiante sulle soluzioni registiche di Yamal Das Irmich, nonché su scene e costumi di Matteo Paoletti Franzato. I due ci portano ai giorni nostri, e piazzano in primo piano una grande cassaforte: è la casa di Don Bartolo, ed anche la prigione di Rosina, abbigliata di mille banconote che vengono man mano strappate da mani avide. Oppure da lei stessa, quando crede d'essere stata ingannata. A destra, su di un'alta pedana la bottega del barbitonsore, che ospiterà anche striscioni con slogan inneggianti alla folle passione di Almaviva. Tute blu da operai o divise da poliziotti per il coro, peluches che passano di mano in mano e palloncini a cuori rossi ovunque. Spettacolo insolito, tutto sommato vivace e piacevole, facilmente comprensibile ad un pubblico “estivo” che mostra di divertirsi molto.
Basta con i tagli...
Per l'ennesima volta si è tagliuzzato a destra e manca, anche dov'è inopportuno. Pure la trionfale aria di Almaviva Cessa di più resistere: momento che qui poteva trovare, nelle verdi corde del tenore Pietro Adaini non pochi motivi d'interesse. La Rosina di Alessia Nadin punta più sulla vivace carica interpretativa che sull'eleganza del canto, ma porta a casa il risultato. Massimo Cavalletti (Figaro) ha gran riserva di voce, autorità scenica, esperienza; ma mostra in scena un certo nervosismo di troppo. Brillante il Don Bartolo di Giovanni Romeo, sebbene palesi qualche affanno vocale; Gabriele Segona e Giovanna Donadini tratteggiano un Don Basilio e una Berta dagli indubbi pregi musicali e scenici. Adeguati il Fiorello di Carlo Checchi e l'ufficiale di Romano Franci. Così così la prestazione del Coro Lirico Veneto.
L'Orchestra di Padova e del Veneto agisce per necessità qui dietro i cantanti: qualche scollamento cogli interpreti è inevitabile, espressività e colori degli strumenti restano in secondo piano. A parte questo, si avverte che il giovane direttore Nicola Simoni accompagna con sollecitudine i cantanti, impostando una concertazione coerente e lineare. Ma senza infondervi né grandi idee, né l'opportuna verve.